Uno studio conferma  i benefici, a 4 anni di distanza, di un mix contro la forma acuta linfoblastica Philadelphia positiva

Una cura contro la leucemia senza chemioterapia né trapianto di staminali. Uno studio targato Gimema (Gruppo italiano malattie ematologiche dell’adulto), coordinato da Robin Foà della Sapienza Università di Roma, conferma l’efficacia a lungo termine – oltre 4 anni dalla diagnosi – di una terapia che ha cambiato la storia della leucemia acuta linfoblastica Philadelphia positiva (Lal Ph+): un trattamento di prima linea basato sull’uso combinato di due farmaci che agiscono in modo mirato sul tumore, senza il ricorso a chemioterapia e trapianto di staminali. I risultati del lavoro sono pubblicati sul ‘Journal of Clinical Oncology’.

Cos’è la leucemia acuta linfoblastica

La leucemia acuta linfoblastica Philadelphia positiva (LLA Ph+), è una varietà di LLA di linea B, caratterizzata dalla presenza della traslocazione fra i cromosomi 9 e 22, che costituiscono così il cosiddetto cromosoma Philadelphia, nome che deriva dalla città in cui lavoravano gli scienziati che per primi lo indentificarono.

La LLA Ph+ rappresenta circa il 30% delle LLA dell’adulto, e si presenta più frequentemente in età avanzata. È molto rara nella popolazione pediatrica.

La terapia della LLA Ph+ è stata rivoluzionata dall’avvento degli inibitori tirosin-chinasici, il primo dei quali è stato l’imatinib. Questi farmaci sono stati aggiunti alla chemioterapia tradizionale, migliorando enormemente la possibilità di ottenere la remissione della malattia e una sopravvivenza prolungata. L’avvento di inibitori di seconda generazione, come il dasatinib, e di terza, come il ponatinib, ha offerto la possibilità di migliorare ulteriormente le risposte al trattamento, specie nei casi con risposta non soddisfacente a imatinib.

Vista l’efficacia degli inibitori specifici, negli ultimi anni sono stati poi proposti dal gruppo italiano GIMEMA schemi chemo-free, i quali prevedono l’impiego dell’inibitore tirosin-chinasico e degli steroidi, ma non della chemioterapia sistemica. Tale strategia ha dimostrato ottimi risultati clinici, specie nell’ottenere la remissione completa, e tossicità molto limitate.

Più recentemente, sempre il gruppo GIMEMA ha testato l’anticorpo monoclonale bi-specifico blinatumumab in associazione al trattamento con steroide e dasatinib, con risultati preliminari molto positivi. Tale associazione non è però ancora approvata in Italia.Il trapianto di cellule staminali, solitamente allogenico ma talvolta anche autologo, è stato molto utilizzato nella LLA Ph+ ed è stato considerato a lungo parte fondamentale del trattamento per i pazienti che potessero tolleralo. Con l’avvento di nuove terapie è emerso che per una parte di pazienti, specie quelli che ottengono precocemente la negatività della malattia minima residua, tale procedura potrebbe non essere sempre necessaria.

I risultati dello studio

I risultati dello studio Gimema Lal2116 (D-Alba), sostenuto da Fondazione Airc e con il contributo di Amgen, sono stati pubblicati nel 2020 sul ‘New England Journal of Medicine’. Oggi dallo stesso team arrivano i dati di oltre 4 anni di follow-up (53 mesi), che confermano l’efficacia di questa strategia con percentuali di sopravvivenza tra il 75% e l’80%. Lo studio ha anche mostrato che il 50% dei pazienti è stato trattato con la sola terapia combinata, senza dover ricorrere a chemio o trapianto.

La malattia è stata monitorata durante il trattamento con tecniche di biologia molecolare e nessuno dei pazienti con risposta molecolare profonda precoce ha presentato recidive. Questa strategia terapeutica può essere somministrata in larga parte a domicilio, rimarcano dalla Sapienza. Perciò il protocollo clinico ha potuto proseguire anche durante il lockdown disposto contro la pandemia di Covid-19, iniziato a marzo 2020.

Di work